Il Compressore audio – prima puntata
A che serve, quante e quali tipologie di funzionamento, quali caratteristiche ha un dispositivo tanto utile quanto – spesso – abusato.
Introduzione
Chi produce musica (nel senso che registra su un supporto riproducibile musica suonata da se o da altri) sa che cosa è e a cosa serve un compressore, chi la musica si limita ad ascoltarla dai dischi spesso non conosce il compressore ma a sua insaputa lo subisce.
La caratteristica peculiare e più difficile da trasferire su un supporto fisico è sicuramente la dinamica; è la dinamica che conferisce alla musica la vita.
Gli spartiti delle composizioni per orchestra sono pieni di indicazioni come “pianissimo”, “crescendo”, “fortissimo” (in italiano in tutti gli spartiti di qualsiasi autore mondiale).
Riprodurre un pianissimo ad un livello che renda il messaggio musicale godibile al di sopra del rumore di fondo e contemporaneamente poter riprodurre un fortissimo senza superare il limite massimo di segnale registrabile senza distorsione sensibile è sempre stato il problema principale della registrazione, a mio parere anche al di là della risposta in frequenza e della cosidetta “fedeltà”.
L’esigenza di domare la gamma dinamica nasce nel momento in cui le tecniche di registrazione maturano e nasce la cosidetta “Alta Fedeltà”, sia su disco (in vinile) o nastro sia tramite trasmissione radiofonica in FM.
Nei sistemi HiFi domestici degli anni ’50 e ’60 del 1900 faceva sempre mostra di sé il Sintonizzatore FM, e le trasmissioni in modulazione di frequenza erano in quegli anni una sorgente di musica altrettanto, se non di più, utilizzata dei dischi.
La gamma dinamica di un qualsiasi brano per grande orchestra è molto elevata, le sinfonie di Gustav Mahler rappresentano un caso emblematico sotto questo aspetto, superiore alle capacità riproduttive sia del disco in vinile sia della trasmissione radiofonica.
La soluzione al problema è la riduzione della gamma dinamica, cioè la “compressione” del segnale, dove per compressione si intende la riduzione della gamma dinamica ad un massimo che si può stimare in circa 40 dB o meno partendo da una gamma che in alcuni brani può essere superiore ai 50 dB: immaginate un “solo” di flauto e un pieno di un’orchestra di 90 elementi.
Il problema della compressione non è in realtà posto solo dai limiti tecnici dei sistemi di registrazione, che con il progresso tecnico si sono consistentemente ridotti – la dinamica teorica di una registrazione digitale in formato Audio CD è comunque superiore a 70 dB nel caso peggiore – ma anche dalle condizioni normali di fruizione della musica.
In un normale ambiente domestico il rumore di fondo, a prescindere dal rumore elettronico del riproduttore di musica, è comunque dell’ordine di 45 – 48 dB, mentre per ovvie ragioni di convivenza il livello massimo non deve superare i 90 – 93 dB, e il “pianissimo” si deve comunque sentire sopra il rumore di fondo.
Con la diffusione dei mezzi di riproduzione personali (“walkman” prima, riproduttori MP3 o simili dopo) il problema si è aggravato, e comunque basta pensare che per molte persone è possibile ascoltare musica prevalentemente in auto.
È quindi negli anni ’50 che nascono i primi “compressori” audio, ed i primi compressori sono soprattutto un accessorio indispensabile nelle stazioni di trasmissione radiofonica.
Ridurre la gamma dinamica
Come ridurre la gamma dinamica snaturando il meno possibile la natura del messaggio musicale?
Una riduzione lineare della gamma dinamica, che consisterebbe nel ridurre il guadagno di trasmissione della catena audio in misura uniforme e indipendente dal livello del segnale condurrebbe ad un appiattimento dell’esecuzione che toglierebbe la vita alla musica.
Si è invece riscontrato che la compressione solo dei segnali a più alto livello è più facilmente tollerata, tanto più facilmente quanto più il livello è elevato.
Pertanto i compressori audio hanno generalmente un comportamento che si può sinteticamente rappresentare come in Fig. 1.
Analizzeremo con maggiore dettaglio la curva di trasmissione di un compressore nei paragrafi successivi, quando ne svilupperemo l’analisi tecnica, per ora ci concentriamo sul principio base del compressore: fino ad un certo livello (che dipende dal tipo di musica, dal mezzo di riproduzione, dall’ambiente obiettivo della riproduzione) ad una variazione di 1 dB del segnale di ingresso corrisponde una variazione di 1 dB del segnale di uscita; oltre quel livello ad una variazione di 1 dB del segnale di ingresso corrisponde una variazione di 0,9 oppure 0,8 oppure 0,5 dB del segnale di uscita.
In altre parole il guadagno del sistema è costante fino a quel livello, per poi diminuire all’aumentare del livello del segnale (Fig. 2).
Questo è l’effetto “compressione”: anche l’entità della compressione dipende dal tipo di musica, dal mezzo di riproduzione, dall’ambiente obiettivo della riproduzione.
Perché ho parlato anche di “ ambiente obiettivo della riproduzione”? Sicuramente avrete notato che alcuni dischi, soprattutto di musica pop-rock, suonano meglio in automobile che in casa, e ciò dipende dal fatto che durante il processo di masterizzazione l’obiettivo è far suonare meglio la musica dove si presume che sarà più fruita.
Ciò significa che il processo di compressione può essere applicato in fase di registrazione, per risolvere il problema tecnico della gamma dinamica limitata dei mezzi di registrazione, o in fase di post-produzione, usando la compressione per modificare la dinamica della musica per scopi estetici o funzionali, non tecnici.
Caratteristiche generali di un compressore audio
Agire sulla dinamica del segnale musicale implica che la riduzione della dinamica deve essere effettuata con tre caratteristiche peculiari, che discendono dal fatto che il livello del segnale musicale può passare dal “pianissimo” al “fortissimo” in modo repentino, immaginate un pieno orchestrale che chiude un assolo di ottavino:
1. il livello al quale la compressione ha inizio deve essere variabile con precisione
2. l’entità della compressione deve essere variabile a piacere
3. il tempo di reazione del sistema che attua la compressione deve essere controllabile a piacere
In Fig. 3 si vede l’effetto di tre diversi criteri di compressione sul segnale di uno strumento a corda pizzicata.
In ascissa il livello del segnale, riferito a 0 dBfs.
in a il segnale non trattato, in b una compressione modesta che inizia a livello elevato e agisce rapidamente, in c una compressione significativa che inizia a livello basso e inizia rapidamente, in d una compressione modesta che inizia a livello elevato (come in b) ma con un tempo di reazione lento.
Si vede da a verso c che l’aumento del fattore di compressione diminuisce drasticamente la dinamica e anche la forma dell’inviluppo, mentre in d si vede che l’aumento del tempo di reazione (la compressione inizia dopo) diminuisce la dinamica più che in b alterando però di meno la forma dell’inviluppo.
Uso del compressore audio nell’era analogica e nell’era digitale
Il compressore può agire sulla dinamica in modo moderato oppure in modo estremo: il modo “moderato” è utilizzato per ridurre la dinamica senza snaturare il messaggio musicale, il modo “estremo” quando si deve comunque evitare che qualche elemento della catena globale di trasmissione del suono arrivi al clipping.
Il modo “moderato” può anche essere usato a scopo creativo, per costruire un suono particolare o anche per pilotare la dinamica in esecuzioni dal vivo o, sempre in esecuzioni dal vivo in generi musicali nei quali la dinamica non sia una caratteristica significativa, ad esempio hard rock, per assicurare il cosiddetto “sustain” cioè l’annullamento del decadimento naturale dell’intensità del suono negli strumenti a corda pizzicata.
In effetti il compressore oggi difficilmente manca nella catena degli effetti di un chitarrista o bassista rock, mentre sarà difficilmente utilizzato dai jazzisti.
L’esigenza di evitare il clipping è sempre presente, quindi in uno studio di registrazione alla fine della catena composta da microfoni, preamplificatori dei microfoni, banco di missaggio, processori esterni del segnale inseriti in vari punti della catena interna del banco di missaggio, all’uscita principale del banco prima del dispositivo di registrazione un compressore impostato in modo particolare è presente praticamente sempre.
L’impostazione del compressore è tale per cui il livello a cui la compressione inizia è molto elevato, pochi dB sotto il livello al quale il sistema di registrazione clippa, mentre il rapporto di compressione è elevato: questa modalità operativa è quella che viene definita del “limitatore” in quanto in realtà non viene effettuata alcuna compressione ma solo una eliminazione “morbida” dei picchi di breve durata non riproducibili.
Oggi la registrazione dei suoni viene effettuata prevalentemente, per non dire esclusivamente, per via digitale, ed un segnale digitale può essere elaborato in qualsiasi modo con semplici moduli software dal costo irrisorio.
Come accessorio a qualsiasi programma di registrazione audio multipista si trovano miriadi di programmini aggiuntivi, detti plug-in, che svolgono la funzione di compressore, limitatore, equalizzatore parametrico o a bande, filtro, riverbero, eco, vibrato, ad un costo irrisorio o anche gratuito.
La caratteristica del suono digitale è però che il “clipping” digitale (quando tutti i bit disponibili sono a 1) causa una distorsione molto peggiore di qualsiasi clipping analogico, che non è recuperabile in alcun modo.
Quando si registra in digitale è assolutamente indispensabile tenersi lontani dal livello corrispondente a 0 dBFS prima di effettuare la conversione da analogico a digitale, in quanto il segnale che supera i limiti del convertitore AD non è utilizzabile.
La compressione o la limitazione deve essere effettuata se è necessaria e sul segnale analogico prima della conversione AD.
“se è necessaria” in quanto la dinamica gestibile dai sistemi digitali è elevatissima, molto superiore alla dinamica di qualsiasi segnale sonoro, e il rumore del sistema digitale è trascurabile, quindi la regola aurea è di registrare comunque a livello tale da avere un elevato “margine operativo” (comunemente detto “headroom”) e i picchi a qualche dB sotto il livello 0 dBFS.
È conseguente che, se necessario, il compressore deve essere analogico e posto immediatamente a valle del preamplificatore microfonico.
In Fig. 4 si vede un preamplificatore microfonico con compressore integrato Universal Audio sul banco di missaggio dello Studio di registrazione San Giacomo Spazio d’Arte di Albignasego (Padova) durante la registrazione di un live con Voce, Chitarra e Basso.
Il compressore agisce solo sul canale della voce con quello che l’ingegnere del suono ha definito “appena un filo di compressione” per controllare le differenze di livello dovute alla vicinanza del microfono alle labbra, distanza che in una esecuzione dal vivo è difficile controllare.
Uno degli obiettivi costanti dello studio di registrazione San Giacomo è rendere sempre al meglio la dinamica degli strumenti acustici, proponendo registrazioni che conservino la naturalezza delle esecuzioni dal vivo.
L’unità Universal Audio integra al suo interno il classico preamplificatore microfonico UA 610, universalmente apprezzato per la naturalezza della riproduzione e lo storico compressore/limitatore UA 1176, un progetto “sempreverde” tuttora utilizzato in molti Studi di registrazione.
Uso ed abuso del compressore: la “loudness war”
L’uso fin qui descritto del compressore è un uso per così dire “normale”, in certo qual modo obbligato per ovviare ai limiti tecnologici della catena di registrazione/riproduzione o anche degli ambienti di ascolto.
Negli anni successivi all’introduzione dell’audio digitale, vuoi per ovviare ai limiti dei sistemi di diffusione di musica compressa (i formati compressi per economizzare sui bytes limitano la dinamica oltre che la banda passante), vuoi perché i tecnici si sono fatti prendere la mano dalle possibilità apparentemente senza limiti delle nuove tecnologie, vuoi per motivazioni puramente commerciali (suonare sempre e comunque “forte”, come se nei riproduttori non esistesse la manopola del volume) si è diffusa la pessima abitudine di comprimere verso l’alto la gamma dinamica, al punto di produrre brani o dischi interi in cui la dinamica fosse ridottissima o praticamente inesistente.
Un breve esempio di questa tendenza si può vedere confrontando le Fig. 5 e 6: in Fig. 5 vediamo 6 secondi di uno spettacolo dal vivo di un cantautore italiano, registrazione del 1974 tratta da LP (vinile), in Fig. 6 vediamo 6 secondi di uno spettacolo dal vivo dello stesso cantautore, registrazione del 2001 tratta da CD.
In Fig. 6 si vede che il livello medio è molto alto, i picchi arrivano a 0 dBFS e la dinamica generale è minore: il disco è fatto per “suonare forte”.
Digitando “loudness war” su qualsiasi motore di ricerca si trovano esempi eclatanti di questa degenerazione delle tecniche di masterizzazione e tutti i dettagli di questa “storia”.
In questi casi assistiamo ad un uso dei compressori che definire “improprio” è un eufemismo.
È doveroso chiarire che tale fenomeno riguarda esclusivamente alcuni (pochi) generi musicali e devo dire che praticamente tutti i tecnici del suono che conosco hanno affermato che “purtroppo” quando producono (nel senso di mixare e masterizzare) musica in questo modo lo fanno su esplicita richiesta di chi cura la diffusione commerciale del brano o, più raramente, su esplicita richiesta dei musicisti.
Fortunatamente (è chiaro che questa è una mia opinione personale, ma non è solo mia) da pochi anni il “problema” è stato portato all’attenzione dei vari organismi internazionali che si occupano di Standard di registrazione, pubblicazione, trasmissione radio-televisiva, ed è quindi stata stabilita una normativa che stabilisce requisiti minimi di dinamica, da cui discendono criteri di limitazione della compressione che dovrebbero, quando fossero nella pratica accolti dai produttori (nel senso cui mi riferivo nei paragrafi precedenti) di musica porterebbero ad una musica più naturale.
Chi intenda approfondire questo tema può ricercare su un qualsiasi motore di ricerca “EBU R 128”.
Nella prossima puntata un approfondimento su “come” sono fatti i compressori, sui pro e contro delle varie tecniche di controllo della dinamica e una panoramica sui tipi disponibili o storici.
Gianni Cornara